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Senza l’altro, Festa non c’è

28 Ottobre 2021
in Dialogo
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L’immigrazione: fenomeno nuovo che sta cambiando il nostro territorio, realtà sociale tra le più rilevanti del nostro tempo: così affermava il Sinodo diocesano qualche anno fa’. Tale cambiamento, che potremmo definire rivoluzionario per la sua entità, per la sua modalità e per i suoi effetti, è ormai sotto gli occhi di tutti: non è più in cambiamento in atto, ma per alcuni aspetti è già avvenuto. In pochissimi anni quella che ci pareva un’emergenza risolvibile a breve termine si è trasformata in realtà quotidiana con cui fare i conti. È una realtà che ci ha spiazzato, sia per le dimensioni che il fenomeno ha assunto, come anche per la velocità con cui si è sviluppato.
Una realtà che ci ha sorpreso, facendo emergere il meglio e il peggio della nostra società e anche della nostra comunità cristiana. Quanti operatori stanno facendo esperienze di incontro e di aiuto, cosa che fino a pochi anni fa non era minimamente pensabile di poter vivere a Bergamo. Sono storie di donne e di uomini che si sono fatti prossimo a colui che era nel bisogno e non aveva nessun fratello di sangue che lo potesse aiutare; sono vicende di chi ha saputo ascoltare la parola “ero forestiero e mi avete ospitato” e l’ha realizzata nell’oggi, senza la paura di essere additato come nemico della società; sono insomma fatti di Vangelo. La solidarietà e la misericordia è così diventata occasione per ampliare gli orizzonti, oltrepassare gli sguardi, anche per la nostra comunità che da molti, a livello nazionale, era definita come chiusa e arroccata. Come infatti si può dipingere in tale maniera una comunità capace di far fronte all’emergenza di Lampedusa, mettendo a disposizione le proprie strutture, soprattutto ecclesiali, ma non solo, con dimensioni che anche le grandi città ci invidiano? Fa emergere il meglio, ma non solo… oltre al positivo, non si debbono nascondere anche quei segni problematici, che speriamo siano meteore e non punte di iceberg, ovvero le espressioni di paura nei confronti dell’altro, lo sfruttamento (del lavoro, ma anche della prostituzione), il diffondersi di atteggiamenti di razzismo (sentimento trasversale ad ogni appartenenza, culturale, etnica e forse anche religiosa), e quella preoccupata indifferenza denunciata anche dal presidente della Repubblica Italiana in varie occasioni. La presenza, numericamente sempre più elevata, da apparire quasi incontrollabile, ha suscitato in molti un senso di paura, invasione e di perdita delle proprie coordinate culturali tradizionali. Anche la comunità cristiana di Bergamo è interpellata da questi eventi, perché ci sentiamo chiamati non a essere spettatori ma artefici di un mondo sempre più a immagine del vangelo. Grazie alla Caritas e alla rete di Centri di Primo Ascolto che un lavorio di 30 anni ha potuto costruire, la nostra comunità cristiana è stata capace (e lo è ancora oggi – o secondo alcuni fino a qualche giorno fa –, in un tempo di crisi) di sostenere i bisogni di chi non era in grado di tirare avanti. Non è tuttavia solo questo il “debito” che abbiamo in quanto cristiani nei confronti di chi giunge in mezzo a noi. Anzi, direi, non si tratta di debito ma di credito: a quanti scelgono di vivere nella società bergamasca vogliamo, dobbiamo chiedere che divengano promotori di una società aperta e attenta alle diversità, capace di interloquire con quello che chiamiamo l’altro, ma nei confronti del quale anche noi siamo altro. Gli immigrati dunque non ci interpellano solo dal punto di vista economico, socio-assistenziale, ma primariamente culturale e anche sul versante della fede. Una Chiesa come quella di Bergamo che ha avuto una storia missionaria così illustre, una Chiesa che quest’anno celebrerà il 50° anniversario dall’apertura delle missioni in Bolivia, non può non interrogarsi sulla chiamata che ci raggiunge attraverso i migranti. Quante sono le comunità parrocchiali che hanno aperto non solo il Centro di Primo Ascolto o la Caritas, ma anche la porta della propria Chiesa, il Consiglio pastorale, i diversi gruppi di cui una comunità è composta? Certo, rimane l’interrogativo: come accogliere questi credenti nelle nostre comunità? Come farli sentire a casa propria quando entrano nelle nostre chiese, quando si accostano ai nostri servizi? Ci sono poi coloro che si riconoscono cristiani, ma appartengono a comunità diverse da quella Cattolica. Fino a pochi anni fa abbiamo pensato che il dialogo ecumenico fosse una questione solo per esperti, oppure ci siamo limitati alla settimana di preghiera per l’unità dei Cristiani. Quale dialogo con loro? Quale la presenza nelle nostre comunità? Siamo ulteriormente interpellati da quanti vivono esperienze religiose diverse e delle quali non abbiamo sufficiente conoscenza, ma nei confronti dei quali – questo deve essere riconosciuto – abbiamo certamente pregiudizio. Basti pensare all’Islam, ma anche all’Induismo, al Sickismo e al Buddismo. Quale contributo dare come comunità cristiana alla costruzione di una società, che ha posto come proprio fondamento la dignità dell’uomo? Dignità che ha anche nel diritto alla libertà religiosa uno dei suoi fondamenti.
Con questo libretto vogliamo raggiungere tutte le nostre comunità pastorali, i sacerdoti, gli operatori, i laici impegnati, quanti si sentono interpellati da ciò che accade, desiderano riflettere e non limitarsi a semplici reazioni “addominali”. In esso non si trovano certo facili soluzioni, ma spunti per riflettere, riferimenti per approfondire, stimoli per rileggere questo fenomeno a partire dal Vangelo. In esso si trovano anche indicazioni concrete su come alimentare una sensibilità per la pastorale migratoria all’interno della pastorale quotidiana che tutti noi cerchiamo di portare avanti. Vogliamo inoltre rilanciare anche quanto si è compreso con l’indagine vicariale dello scorso anno, che si è resa possibile grazie alla pazienza di molti parroci, ai quali va la gratitudine. Speriamo di poter proseguire in questo lavoro di rilettura della presenza dei migranti nelle parrocchie. È inoltre l’occasione per il Segretariato Migranti di suggerire alcune linee di fondo e di far conoscere alcune iniziative in atto nella nostra diocesi e nelle nostre parrocchie a riguardo degli immigrati. Da ultimo si trovano alcune proposte per il nuovo anno pastorale, proposte rivolte ai gruppi parrocchiali e vicariali che vogliono approfondire alcune tematiche. Sperando di rendere servizio alla comunità cristiana e al Vangelo, vi auguro un buon inizio di anno pastorale.

Don Massimo Rizzi
Direttore del Segretariato Migranti

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