I Bergamaschi in Emigrazione
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Mi chiamo Mauro Rota e vivo a Bruxelles con la mia famiglia da ormai dieci anni dopo altri otto trascorsi in Svizzera a Neuchâtel. In questo periodo di permanenza all'estero ho collaborato con le Missioni Cattoliche locali e soprattutto ho cercato di vivere questa mia esperienza con un occhio attento al fenomeno migratorio. Ultimamente sto seguendo i lavori di ricerca dottorale di mia moglie nel campo delle politiche linguistiche con un particolare interesse alle dinamiche identitarie degli emigranti. Consapevole dell'evoluzione delle caratteristiche dei flussi migratori posso definirmi né emigrante né in mobilità (professionale, per studio o per altre motivazioni), ma "espatriato", tra il temporaneo e lo stanziale. Avendo colto un'opportunità professionale di mia moglie mi sono trasferito in Svizzera con la famiglia, mia moglie Silvana Scandella e mia figlia Silvia, nel gennaio del 1995. Qui, a Neuchâtel, sono entrato in contatto con la comunità italiana locale collaborando in particolar modo con la Missione Cattolica allora guidata da don Pietro Natali. Tra l'altro ho rivestito il ruolo di Presidente della Missione e del Consiglio Pastorale vivendo così più in profondità la realtà della comunità italiana "emigrata", la sua evoluzione e l'adeguamento del servizio offerto dalla Missione Cattolica Italiana. Allora, fine anni novanta, ed eravamo nella Svizzera francofona di per sé più aperta all'accoglienza rispetto a quella tedesca, si respirava la continuità del processo di integrazione da parte della seconda ed ulteriori generazioni di emigranti. Questi ultimi infatti, nati e scolarizzati in loco, avevano ormai la propensione a configurare la propria identità rispetto al paese di accoglienza piuttosto che rispetto al Paese di origine dei loro famigliari. O per lo meno vivevano questo dualismo con più distacco allacciando sempre più rapporti condivisi con gli autoctoni. La prova era la crisi emergente dell'associazionismo italiano in generale in rapida sofferenza per il mancato ricambio generazionale. Non ne è rimasta indenne la Missione Cattolica italiana che, nonostante le numerose attività pastorali in ambito sociale risentiva del calo di frequentazione. Ciononostante era ancora consistente la domanda di "servizio sacramentale" (battesimi, matrimoni, funerali) che evidenziava la preferenza per lo stile italiano del rituale. Piano piano la stessa chiesa locale forzava la chiusura delle Missioni etniche volendo far convergere la comunità italiana nelle parrocchie svizzere. Ricordo l'imposizione della conta dei fedeli alla S. Messa domenicale per giustificarne la celebrazione! Sono passati ormai quindici anni, mi sono trasferito sempre con la mia famiglia a Bruxelles, sempre per la stessa opportunità professionale di mia moglie. A Neuchâtel si sono succeduti vari missionari bergamaschi con non pochi problemi per i vuoti tra un passaggio e l'altro. Sono sempre rimasto in contatto con quella realtà e devo dire che anche nel mio ultimo passaggio, circa un mesetto fa, partecipando alla celebrazione della S. Messa domenicale a St. Marc ho rivisto tanti volti amici, ma pochi giovani. Una fotografia che potrebbe avallare la riflessione sull'ormai non più necessario ruolo e presenza delle Missioni Cattoliche italiane. A Bruxelles tira un'aria tutta diversa. La retorica definizione di Capitale Europea in effetti evidenzia l'evoluzione dei flussi migratori verso il fenomeno della mobilità professionale, prevalentemente, e studentesca. Sono molti i giovani dalla formazione di alto profilo che vengono a Bruxelles per lavoro o per effettuare uno stage presso le Istituzioni europee. A differenza delle altre due aree politico/geografiche del Belgio, la Vallonia e le Fiandre, che hanno vissuto già dagli anni '50 la grande ondata migratoria per il lavoro in miniera ("due braccia per un sacco di carbone"!), Bruxelles diventa meta di migrazione in una fase cronologicamente successiva. Ma, attenzione: l'evoluzione dei flussi migratori vive un dinamismo vertiginoso che sfugge all'attenzione di chi non lo vive direttamente. Solo un paio di anni fa, da Bergamo si stimava l'esodo nel mondo di circa un migliaio di giovani in cerca di lavoro: tra questi molti neolaureati. Oggi, primavera 2013, nella situazione di gravità sociale che conosciamo, Bruxelles, come presumo in altre aree geografiche come l'allettante Australia, sta rivivendo in un inquietante crescendo il ripetersi dello storico esodo del dopoguerra con la partenza di circa il 30% dei giovani in cerca di lavoro. Si sta riproponendo il triste fenomeno dell'emigrazione dalla "valigia di cartone" mentre sta evaporando l'emigrazione blasonata da "valigia ventiquattrore". Negli ultimi giorni si stanno registrando richieste di lavoro da parte di chi ha lasciato l'Italia, paradossalmente dalle ricche regioni del Nord, Bergamo inclusa. E le richieste sono senza pretesa di affinità con la propria formazione adeguandosi a qualsiasi opportunità professionale. Proprio come mezzo secolo fa, anzi peggio perché allora per lo meno c'era la certezza di un contratto di lavoro. Oggi l'insicurezza o ancor peggio la disperazione spingono a emigrare senza una solida certezza organizzativa: lavoro, casa, sostentamento, prima sistemazione e così via. E qui ri-interviene il ruolo di riferimento della Missione Cattolica. Mi risulta che ogni giorno i nostri Missionari ricevano telefonate o e-mail di richiesta di aiuto, per un posto letto, per una dritta per un "qualsiasi" posto di lavoro! Nel mio modesto percorso all'estero ho collaborato con mia moglie con il mondo dell'associazionismo italiano. A Bruxelles abbiamo fondato tre anni fa il Circolo dell'Ente Bergamaschi nel Mondo a cui fanno riferimento una trentina di soci e un centinaio di simpatizzanti. A differenza degli altri due Circoli storici del Belgio, quello di La Louvière e quello di Liegi, nati sulla spinta della necessità di creare dei centri di aggregazione per gli emigranti, il Circolo di Bruxelles rappresenta un interessante laboratorio di analisi sociologica dell'emigrazione italiana facendo da cerniera tra la generazione dell'emigrazione storica e la recente mobilità. Abbiamo realizzato alcuni momenti forti di riflessione come il Convegno su "Il fenomeno migratorio e l'integrazione sociale" tenutosi al Comitato Economico e Sociale Europeo avendo tra l'altro come mediatore il vicedirettore di "L'Eco di Bergamo", Franco Cattaneo. E nel nostro piccolo cerchiamo di fornire la nostra disponibilità alle richieste che ci pervengono. Tenuto conto che le istituzioni statali, vedasi rete consolare, Comites ecc, faticano ad avere un monitoraggio capillare della comunità italiana all'estero, viene decisamente rivalutato il ruolo delle Missioni Cattoliche Italiane come principale referente per la nuova ondata migratoria senza trascurare il ruolo dei patronati e dell'associazionismo in genere. L'attualizzazione dell'indagine del fenomeno migratorio impone il passaggio metaforico dallo scatto fotografico (visione statica del processo) al filmato (presa d'atto del dinamismo evolutivo). Inoltre per una maggiore obiettività è decisivo il ruolo di condivisione del contesto migratorio nel vivere dall'interno l'indagine. Per questo è necessario rivedere le modalità e la tipologia di servizio, penso fra l'altro all'adeguamento dell'intervento offerto dal Ministero degli Affari Esteri per la promozione e diffusione della Lingua e Cultura Italiana. Riassumendo, se fino a poco fa, sulla scia di un processo di accoglienza-adattamento-inserimento (assimilazione-integrazione-inclusione) più o meno felice poteva essere messa in discussione la presenza non più necessaria di una Pastorale "etnica" nel Paese di accoglienza, nella fattispecie delle Missioni Cattoliche italiane, oggi, primavera 2013, si sta riproponendo la "necessità" della preziosa presenza assistenziale e formativa dei Missionari italiani all'estero in una visione di ampia sinergia dei vari soggetti coinvolti. Bruxelles, 8 aprile 2013 Mauro Rota Presidente del Circolo di Bruxelles dell'Ente Bergamaschi nel Mondo |